22/01/13

Conosci il tuo Inno ?

Buon giorno a tutti i cuoricini.

Oggi vorrei postare per voi una spiegazione dell'Inno Nazionale Italiano, conosciuto come "l'Inno di Mameli" o "il canto degli Italiani"

Con gioia e con orgoglio, alzandoci in piedi con la mano sul petto, lo abbiamo cantato tante, tante e tante volte. 
In tutte le manifestazioni sportive internazionali, molto spesso, vediamo sul podio molti nostri atleti che si contraddistinguono per le loro eccezionali prestazioni sportive, e salendo sul podio più alto, noi da casa, sentiamo rieccheggiare le note dell'Inno di Mameli, e un pò per senso patriotico e un pò per gogliardia, ci si alza in piedi con la mano sul petto, e canticchiamo "Fratelli d'Italia, l'Italia se desta... ".



Ahimè, molti nostri connazionali, non lo conoscono nemmeno tutto, ma soltanto la prima strofa. (Il nostro Inno è composto da 5 strofe).  Conoscere il "canto" che rappresenta in tutto il mondo l'Italia, senza saperne nè le origini, e nè il significato, è come dice una famosa pubblicità, "...lo gusti solo a metà".  

Vorrei quindi aiutarvi a comprendere prima la storia dell'Inno e poi il significato. 


La storia:

I versi del nostro Inno Nazionale vennero scritti dal mazziniano Goffredo Mameli, poeta e patriota genovese.
Goffredo Mameli era nato a Genova (città del Regno di Sardegna) il 5 agosto 1827. All’epoca l’Italia era suddivisa in 8 piccoli Stati governati, in maniera dispotica, da dinastie in massima parte straniere. Questa frantumazione politica e la mancanza di libertà e di democrazia, fecero approdare il giovane autore del nostro Inno agli ideali mazziniani che ipotizzavano un’Italia libera ed unita. L’attivismo "rivoluzionario" di Mameli si evidenziò con forza incontenibile nel 1846, nel Capoluogo ligure durante le cerimonie organizzate per ricordare il leggendario episodio del ragazzo G. Perasso, detto "Balilla", a cento anni dal fatto. Nella circostanza le varie manifestazioni commemorative vennero trasformate in veri moti popolari per costringere C. Alberto a concedere lo Statuto.
Nel tardo pomeriggio del 10 settembre 1847, mentre Mameli si trovava in casa del console francese a Genova, dove spesso si discuteva di politica, scrisse di getto la poesia romantica risorgimentale: "Il canto degli italiani", per esprimere con vigore e commozione le tensioni di quel particolare momento storico ed esaltare i valori della Patria. Infatti nel carme viene spesso sottolineato che gli italiani devono amarsi ed unirsi. C’è anche un fugace riferimento a Scipione (il valoroso e vittorioso guerriero romano), all’evidente scopo di richiamare il patrimonio di esempi, di memorie e di gloria lasciatoci dai nostri antichi progenitori: i romani! "Il canto degli italiani" venne subito stampato a Livorno e non a Genova, per evitare la censura piemontese, e diffuso in tutto il Regno.
La sera del 24 novembre 1847 a Torino, nel corso di una riunione nell’abitazione di Lorenzo Valeri (noto democratico piemontese), alla quale partecipava anche il compositore Michele Novara, uno dei presenti che era appena giunto da Genova consegnò a quest’ultimo un foglietto, inviatogli da Mameli, sul quale era trascritto "Il canto degli italiani". Il musicista lo lesse ad alta voce ed esclamò: "stupendo"! poi con le lacrime agli occhi, si portò al cembalo per trovare un accompagnamento musicale a questi versi infuocati. Al momento, afferma il Novara: "misi giù frasi melodiche, una sull’altra, ma lungi le mille miglia dall’idea che potessero adattarsi a quelle parole". Scontento si recò subito a casa dove, nella notte, diede a questo poema di speranza e di battaglia, una musica fortemente ritmata e coinvolgente. Ne risultò così un Inno, definito da Garibaldi "trascinante e guerriero".
Mameli perse la vita il 6 luglio 1849 (aveva appena 21 anni), a seguito di ferite riportate combattendo con Garibaldi, durante l’assedio di Roma. Tale immatura morte sul campo, è una chiara testimonianza che per lui il verso del suo Inno: "siam pronti alla morte", non è un addobbo retorico, ma qualcosa di veramente sentito.
Nel 1946, con l’avvento della Repubblica, "Il canto degli italiani" è diventato il nostro Inno Nazionale. Scelta certamente non casuale perché dopo la caduta del fascismo e le disastrose conseguenze della seconda guerra mondiale, occorreva ritrovare l’Italia del dopo Risorgimento che si impose non solo per la collaborazione, operosità e rigore dei cittadini, ma anche per il loro senso di appartenenza ad una sola Patria. Oggi l’esortazione ad amarci ed unirci sotto un’unica Bandiera che ci viene dall’Inno di Mameli, è quanto mai attuale poiché sulla base di un malinteso cosmopolitismo, si cerca di mettere in discussione addirittura la Patria!
Contro questa moda che porta a svuotare di contenuto morale il Risorgimento, l’Inno Nazionale può costituire un antidoto molto efficace purché, senza moderare gli impulsi, lo si canti ad alta voce in ogni favorevole occasione, per sottolineare a noi stessi ed agli altri che ancora crediamo nella Patria con accentuata fermezza.

Diritti d'Aurote

Lo spartito dell'inno è di proprietà della casa editrice Sonzogno. Il manoscritto autografo che Michele Novaro inviò all'editore Francesco Lucca è conservato presso l'Archivio Storico Ricordi. Nel 2010, in seguito al clamore suscitato da una lettera inviata dal presidente del Consiglio comunale di Messina Giuseppe Previti al Presidente della Repubblica Italiana, la Siae ha stabilito di non riscuoterne più in modo diretto i diritti di noleggio sugli spartiti musicali, mentre, come ovvio i diritti d'autore sono già decaduti poiché opera è di pubblico dominio. 

La spiegazione letterale:


L’Italia s’è desta,        
Dell’elmo di Scipio2
S’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria?3
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.4

Stringiamoci a coorte5
Siam pronti alla morte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.


Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.

Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
Siam pronti alla morte                            
L’Italia chiamò.

                                                                          
                                                                                                      (Ascolta l'Inno)
Uniamoci, amiamoci,
l’Unione, e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio7
Chi vincer ci può?

Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.


Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,8
Ogn’uom di Ferruccio9
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,10
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.11

Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.


Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.12
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.13

Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

1 In origine il verso iniziava con “Evviva l’Italia”, ma fu poi cambiato da Novaro per rafforzare il legame tra i militoni.
2 Publio Cornelio Scipione detto l’Africano sconfisse Annibale nella battaglia di Zama, liberando i romani da un nemico che li stava terrorizzando. E’ evidente il paragone con la forza di Roma, capace di rialzarsi dopo la sconfitta e di continuare a combattere il nemico fino alla vittoria: indossando la “tenacia” (elmo) di Scipione, riuscirà a battere il tiranno austriaco.
3 Vittoria era la dea romana che personificava, appunto, la vittoria in battaglia.
4 In passato, le donne libere usavano portare i capelli lunghi per distinguersi dalle schiave. La Vittoria personificata appartiene a Roma: di conseguenza deve porgere la sua chioma affinché le sia tagliata e sia marchiata come sua schiava.
Il verso continua affermando che Vittoria fu data in schiava a Roma da Dio stesso: probabilmente il verso si riferisce al tempo in cui i romani sconfissero gli etruschi, liberando la penisola dalla loro influenza.
5 La coorte era un’unità militare dei romani di 600 uomini, che dava più robustezza rispetto alle precedenti linee. Dieci coorti formavano una legione (almeno agli inizi). Scipione l’Africano ne aveva fatto uso prima ancora che fosse ufficialmente adottato, dimostrando la sua forza.
Anche qui la coorte richiama l’idea delle armi e della cacciata dell’oppressore, dando un tono forte al canto.
Una nota: stringiamoci è una modernizzazione della parola che nel testo originale era stringiamci.
6 L’intero verso è una velata critica agli italiani. All’epoca la penisola era ancora divisa in sette Stati e per questo, secondo Mameli, gli italiani erano sbefeggiati. Solo l’unione può spingere l’Austria a cedere, a dare una speranza (speme).
7 Dio è di nuovo chiamato in causa, visto come garante dei popoli che sono oppressi. Si tratta in realtà di un francesismo, che deriva da par Dieu, ovvero “attraverso Dio”. Mameli, infatti, non usava spesso richiamare Dio nelle sue opere.
8 Si richiama la Battaglia di Legnano del 29 maggio 1176, in cui la Lega Lombarda scacciò Federico Barbarossa. Un altro esempio da seguire per la vicina battaglia.

Busto di Scipione l'Africano, che sconfisse Annibale nella battaglia di Zama
9 Secondo esempio storico del verso. Il 2 agosto 1530, il capitano Francesco Ferrucci sconfisse l’esercito dell’Impero spagnolo che assediava la Repubblica di Firenze. Fu poi ferito e catturato. Il capitano nemico Fabrizio Maramaldo lo pugnalò alle spalle e Ferrucci, prima di morire, scagliò le sue famose parole d’infamia contro di lui: «Vile, tu uccidi un uomo morto».
10 Terzo esempio storico. Balilla è il soprannome di Giovan Battista Perasso, il genovese che il 5 dicembre 1746 diede inizio a una rivolta colpendo un ufficiale austriaco con una pietra. La rivolta si concluse con la scacciata dalla città. L’evento non è documentato ufficialmente, ma Perasso divenne il simbolo della rivolta contro l’Impero austriaco.
11 Ultimo esempio della strofa. La sera del 30 marzo 1282 suonarono le campane (squille) e il popolo di Palermo insorse contro le truppe (vespri siciliani) di Carlo d’Angiò di Francia, che avevano occupato tutta la Sicilia.
12 Le spade vendute sono i mercenari di cui si serviva l’Impero austriaco in battaglia: vengono considerati deboli come giunchi, rafforzando il fatto che solo i patrioti hanno la forza per vincere. L’Impero austriaco è comunque in declino (penne ha perdute) e quindi più facile da sopraffare.
13 Anche la Polonia era sotto il giogo dell’impero, che era stato aiutato dalla Russia (cosacco). L’Italia si sente quindi molto unita con la Polonia, motivo per cui pure nell’inno polacco si trova un riferimento agli italiani.
La strofa finisce con un presagio, attraverso la metafora: Italia e Polonia unite si ribelleranno e bruceranno il cuore dell’Aquila austriaca, segnando la sua fine.


Miei cari, sepero tanto di non avervi annoiato, con un post cosi lungo, ma spero che abbiate trovato qualche spunto e riflessioni interessanti. Ma altresì, credo che ogni cittadino che voglia avere un futuro, debba prima di tutto conoscere il suo passato. Perchè senza conoscenza del passato, non si capisce il presente e non si costruirà mai un futuro. (anche questo può essere uno spunto di riflessione).

Buona giornata a tutti, miei cari. 
Un abbraccio...


 






 Informazioni su storia e spiegazioni sono tratte dal web.

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